Chirurgia Ricostruttiva


1 . diagnosi e asportazione di tumori cutanei

La neoformazione cutanea è ua lesione della cute che uò essere di natura benigna (verruca, fibroma, condiloma, ecc.), localmente invasiva (carcinoma basocellulare) o maligna (carcinoma spinocellulare, melanoma). Possono comparire in ogni parte del corpo, ma nell’80% circa dei casi interessano il volto, il cuoio capelluto ed il collo, dove, oltre ad essere pericolosi, possono anche compromettere l’aspetto estetico. La causa primaria dei tumori della cute è la radiazione ultravioletta derivante sia dalle lampade artificiali, sia, soprattutto, dalle radiazioni solari. Negli ultimi anni è stato rilevato un lieve aumento dell’incidenza dei tumori della cute dovuto alla concomitanza di tre fattori:

  • aumentata intensità dell’attività solare
  • riduzione dello strato protettivo dell’ozono
  • aumentata tendenza all’esposizione al sole in tutte le stagioni

 

Il rischio di tumori cutanei aumenta nei seguenti casi:

  • cute sottile facilmente ustionabile ai raggi solari
  • capelli e occhi chiari
  • presenza diffusa di nevi, soprattutto se del diametro di 4-5 mm
  • familiarità per i tumori cutanei
  • frequente esposizione al sole

 

Cheratosi e fibromi

Sono espressione di una crescita anomala delle cellule epiteliali della cute, di natura benigna. La loro asportazione, chirurgica o mediante Laser CO2, oltre alla finalità estetica, ha quella di eliminare il rischio di irritazioni o lesioni qualora siano localizzate in zone sottoposte a frizioni meccaniche (collo, linea cintura-reggiseno).

La cheratosi attinica, detta anche “cheratosi solare” o “senile”, è la più comune. E’ legata all’esposizione solare cronica ed è da considerare una lesione pre-cancerosa in quanto nel 10% circa dei casi subisce una trasformazione in carcinoma a cellule squamose.

Verruche

Sono neoformazioni benigne della cute causate da un’ infezione da papilloma virus umano. Si curano efficacemente con la vaporizzazione con laser CO2.

Xantelasmi

Rappresentano un accumulo di lipidi a livello del derma della cute delle palpebre. Si possono asportare chirurgicamente o vaporizzare con laser CO2.

Cr basocellulare

Tumori localizzati. E’ il tipo di tumore cutaneo più comune e meno pericoloso in quanto tende a crescere lentamente e solo eccezionalmente si diffonde ai diversi organi (metastasi). Il carcinoma basocellulare, se non trattato, può crescere in profondità sotto la pelle, infiltrando i tessuti molli sottostanti ed anche l’osso, causando danni molto seri; di rado può essere pericoloso per la sopravvivenza. L’aspetto del carcinoma basocellulare è molto variabile. Si può presentare inizialmente come un piccolo nodulo rilevato di colore rossastro o bianco. Spesso tende a desquamarsi, o a formare croste; frequentemente appare come una ferita sanguinante che non guarisce spontaneamente o come una lesione che si ripresenta in continuazione dopo apparenti guarigioni.

Tumori cutanei maligni

Carcinoma spinocellulare

E’ il tumore della pelle secondo per frequenza dopo il carcinoma basocellulare. Si manifesta più comunemente sul volto, in particolare su labbra e orecchie e su mani. Può diffondersi sia ai linfonodi, sia agli organi interni. Se non trattato può costituire un pericolo per la sopravvivenza. Si presenta spesso come una lesione crostosa, sanguinante, che non guarisce spontaneamente.

I tumori della cute possono essere rimossi chirurgicamente da uno specialista in chirurgia plastica. L’utilizzo del laser è opportuno solo per crescite assai superficiali e sicuramente di natura non invasiva. In tutti gli altri casi è raccomandabile l’intervento chirurgico. Se il tumore è piccolo la procedura è semplice, veloce, ed eseguibile in anestesia locale. E’ necessaria una semplice incisione che normalmente lascia una sottile cicatrice, auspicabilmente poco visibile. L’asportazione di tumori cutanei di dimensioni maggiori può comportare, al fine di un riparo adeguato, l’utilizzo di lembi cutanei ricavati dalle regioni circostanti o di innesti di cute prelevati da zone distanti del corpo.

 

PREVENZIONE DEI TUMORI DELLA PELLE

  • Evitare le scottature solari, specie in età giovanile, ed esposizioni solari troppo prolungate. i raggi ultravioletti vengono filtrati solo per il 20-40% dall’acqua e dalle nuvole e vengono riflessi dalla sabbia e dalla neve . le lampade abbronzanti forniscono una quantità di raggi ultravioletti maggiore della luce solare.
  • In caso di esposizione al sole per lunghi periodi, è bene usare indumenti coprenti e copricapi con visiera.
  • Indipendentemente dal livello dell’abbronzatura raggiunto, utilizzare sempre una crema a protezione solare media, ricordandosi che essa deve essere applicata almeno ogni 2 ore circa e dopo ogni bagno o cospicua sudorazione. Questo è particolarmente importante in quanto i danni provocati dai raggi ultravioletti sono cumulativi nel tempo!

Esaminare e controllare lesioni che sono:

  • In rapido accrescimento
  • Di aspetto e con bordi irregolari
  • Pruriginose
  • Sanguinanti spontaneamente
  • Varianti di colore

NEVI

Sono addensamenti benigni di melanociti, cellule che producono il pigmento della nostra pelle. Devono essere controllati almeno 1 volta l’anno, perché possono trasformarsi in melanomi, tumori cutanei molto aggressivi.
È buona norma sottoporre chi presenta numerosi nevi ad una mappatura che consiste nell’analisi accurata di tutti i nevi mediante un dermatoscopio (una particolare lente d’ingrandimento illuminata) correlata a fotografie digitali, che consente di ottenere una mappa corporea. Solo mediante tale procedura lo specialista può documentare obiettivamente la possibile evoluzione delle neoformazioni pigmentate nel tempo.

È possibile che un nevo possa evolvere dapprima in nevo displastico (vale a dire anomalo) e successivamente in un melanoma. Deve essere considerato, comunque, che un melanoma può anche insorgere direttamente su cute indenne da nevi. La trasformazione di un nevo in melanoma è maggiormente probabile in caso di

  1. Nevi congeniti di grandi dimensioni.
  2. Nevi sottoposti a cronica frizione meccanica (palmo delle mani, pianta dei piedi, zona cintura-reggiseno).
  3. Eccessiva esposizione al sole.

Come detto, è buona norma procedere a controlli periodici delle neoformazioni cutanee. L’asportazione chirurgica è indicata nei seguenti casi:

  • diagnosi clinica di nevo displastico o melanoma
  • dubbio nella diagnosi clinica

L’asportazione chirurgica offre il duplice vantaggio di consentire una diagnosi certa attraverso l’esame istologico(esame microscopico di sottilissime porzioni di ciò che è stato asportato) e di essere curativa nella maggior parte dei casi.

E’ sempre comunque possibile asportare dei nevi anche solo per finalità estetiche, talora per mezzo di vaporizzazione laser in alternativa alla tradizionale procedura chirurgica. L’asportazione di un nevo non comporta in alcun modo dei rischi di trasformazione maligna come falsamente creduto un tempo.

Diagnosi dermatoscopica

La dermatoscopia è una nuova tecnica, introdotta negli anni ’90, allo scopo di migliorare la diagnosi delle lesioni pigmentate della cute e di individuare i melanomi in una fase quanto più precoce possibile.

Attraverso l’osservazione della cute mediante un microscopio da contatto, il dermatoscopio, il dermatologo può osservare i caratteri morfologici delle lesioni melanocitarie non apprezzabili ad occhio nudo e che sono correlabili a specifiche alterazioni istologiche.

L’epiluminescenza infatti, permette la valutazione diretta ed in modo assolutamente non invasivo ed indolore, di micro-strutture anatomiche che si trovano all’interno della pelle.

L’esame di queste strutture epimicroscopiche e delle loro caratteristiche, consente di stabilire se una lesione pigmentata cutanea è di tipo melanocitico o non melanocitico e di discriminare, nell’ambito di quelle melanocitarie, quelle benigne da quelle maligne o ritenute atipiche.

la digitalizzazione delle immagini e la loro archiviazione in un computer, consentono il controllo nel tempo delle lesioni pigmentarie ritenute sospette, attraverso il semplice confronto delle immagini.

LA MAPPA DEI NEI

Per poter tenere più facilmente sotto controllo i nevi, specie se sono numerosi o se sono a rischio, è bene sottoporsi ad un controllo dermatologico con l’esame dermatoscopico in epiluminescenza ed eventualmente farne un mappaggio (o mappatura).

Il Dermatologo mappa i nevi indicando la loro posizione su un disegno che riproduce il corpo oppure fotografa le varie parti del corpo, archiviando le foto in un computer per poterle confrontare in un tempo successivo .

Ciascun nevo viene indicato sulla foto con un numero o con una lettera alla quale corrisponderà una descrizione dettagliata oppure una foto di ogni singolo nevo sospetto visto in epiluminescenza, con il riscontro delle dimensioni in mm.

L’AUTOESAME DEI NEVI

Controllarli periodicamente con la semplice ispezione visiva, consente a chiunque di osservare se si sono verificate modificazioni e di sottoporre all’attenzione del proprio dermatologo di fiducia, uno o più nevi che destano sospetto o preoccupazione.

L’autoesame deve essere fatto da tutti, ma con particolare riguardo da chi:

  1. ha avuto un familiare colpito da melanoma;
  2. è chiaro di pelle, con capelli biondi o rossi ed occhi chiari;
  3. ha la pelle invecchiata dal sole;
  4. ha avuto almeno due episodi di “scottature” (ustioni) solari in giovane età;
  5. ha molti nevi;
  6. ha nevi cosiddetti “a rischio”.

Il rischio è maggiore in caso di

  1. Pelle, capelli ed occhi chiari, facilità alle scottature solari.
  2. Precedenti di scottature solari gravi durante l’infanzia o l’adolescenza.
  3. Numerose lentiggini.
  4. Abuso di lampade abbronzanti.
  5. Più di una cinquantina di nei.
  6. Casi di melanoma personale o familiare.
  7. Nevi di forma, dimensioni, colore molto vari.

I nevi a rischio sono quelli che presentano aspetti atipici all’esame clinico o dermatoscopico e che pertanto vengono ritenuti sospetti.

In particolare sono considerabili nevi “a rischio” quelli

  1. congeniti di “grandi” dimensioni (oltre 20 cm),
  2. insorti da poco tempo e tendono a crescere piuttosto rapidamente,
  3. molto scuri,
  4. modificati nel tempo ,
  5. più grandi di 6 mm di diametro,
  6. localizzati in zone del corpo soggette a frizione o sfregamento (con l’elastico degli indumenti intimi, le scarpe, i pantaloni, etc.) o a traumi ripetuti (rasoio, pettine).

MELANOMA MALIGNO

Il Melanoma maligno, sebbene più raro rispetto ai due precedenti, è sicuramente il più pericoloso. Se scoperto per tempo e trattato adeguatamente può essere completamente curato; se ignorato può diffondersi a diversi organi e risultare mortale. La diagnosi precoce è quindi fondamentale, in quanto consente di intervenire negli stadi iniziali della patologia. In questi casi un semplice atto chirurgico può debellare la malattia.

La ricostruzione del capezzolo e dell’areola rappresenta il completamento dell’iter ricostruttivo . A meno che non si utilizzino tecniche chirurgiche che prevedino il risparmio dell’areola e del capezzolo durante l’intervento demolitivo, al termine di una ricostruzione mammaria (non importa se eseguita con espansori o con tessuti propri) sarà necessario ricostruire anche il complesso areola capezzolo. La dimensione, la posizione, la proiezione e il colore dell’areola-capezzolo sono fattori determinanti per la riuscita estetica della ricostruzione.

Le pazienti che hanno subito interventi demolitivi con asportazione del complesso areola-capezzolo (per un tumore, un trauma o un problema congenito) continuano a provare un disagio psicologico anche molto tempo dopo la ricostruzione mammaria.

L’intervento può essere eseguita in modo sicuro in anestesia locale e in regime ambulatoriale e dura generalmente 45-60 minuti.

Dopo l’operazione la ferita viene coperta con una medicazione per evitare infezioni e assorbire eventuali emorragie che possono verificarsi. La rimozione punti avviene dopo circa 7-10 giorni e la completa guarigione in 15-20 giorni.

Esistono diverse tecniche per ricostruire il complesso areola-capezzolo nella donna mastectomizzata e trovano le proprie indicazioni nei pazienti in base alle singole problematiche cliniche.

 

CAPEZZOLO

  • Prelievo di parte del controlaterale: nei casi in cui il capezzolo sia ben proiettato e di grandi dimensioni
  • Lembo locale: viene utilizzato un lembo a stella a tre punte che suturate tra loro in maniera opportuna permette di ottenere una struttura cilindrica dotata di una buona proiezione
  • Protesi: per le pazienti che non vogliono avvicinarsi nuovamente alla chirurgia

 

AREOLA

  • Prelievo di parte della controlaterale: nei casi in cui ci sia un’areola piuttosto grande è possibile ridurne in parte il diametro trapiantando la parte più esterna nel nuovo complesso areola-capezzolo
  • Innesto cutaneo: prelievo di una losanga di pelle da un sito donatore con caratteristiche di colore leggermente più scure (generalmente la regione inguinale) da trapiantare all’apice del cono mammario in modo da ottenere un effetto pigmentato rispetto alla cute circostante; in cinque giorni si verifica l’attecchimento nella nuova sede della cute che in breve tempo assume il colore di una nuova areola; si crea inoltre una cicatrice residua nel sito donatore , mascherabile con gli slip
  • Tatuaggio intradermico: rappresenta l’alternativa non chirurgica ed evita quindi la cicatrice al sito donatore; viene eseguito ambulatorialmente del colore più simile alla areola controlaterale; sono sempre necessarie due sedute e spesso anche una terza e una quarta (in base alla risposta soggettiva).

 

Il complesso areola capezzolo è notevolmente variabile in dimensione, consistenza e colore in tutti i gruppi etnici e tra gli individui. Esiste inoltre una differenza apprezzabile tra i due complessi areola-capezzolo nello stesso paziente. In generale l’areola ha un diametro di 4-5 cm, con un diametro e una proiezione capezzolare pari a un terzo/un quarto del diametro areolare.

Il problema più comune successivo alla ricostruzione è la perdita nel tempo di proiezione del capezzolo e di pigmentazione dell’areola che a volte necessita di un intervento secondario di revisione a distanza di anni.

La ricostruzione mammaria è un intervento di chirurgia plastica in seguito ad interventi chirurgici demolitivi (tumorectomia, quadrantectomia e mastectomia per tumore della mammella), traumatismi o malformazioni congenite. Le tecniche maggiormente utilizzate sono quelle che prevedono l’utilizzo di protesi mammarie definitive o di espansori temporanei o permanenti, e quelle basate sul trasferimento di tessuto autologo (cioè prelevato dalla stessa paziente) peduncolato o rivascolarizzato microchirurgicamente nell’area ricevente (ricostruzione con lembo miocutaneo di latissimus dorsi, con il muscolo retto dell’addome o con lembo libero TRAM, DIEP, ecc.). Recentemente sono state introdotte nuove metodiche meno invasive che prevedono l’utilizzo di grasso proveniente dalla stessa paziente (lipofilling) al fine di ridare vigore ai tessuti compromessi dalla mastectomia e dalla radioterapia e consentire, in un secondo momento, l’inserimento di protesi od espansori. La fase ricostruttiva può essere eseguita contemporaneamente alla fase demolitiva (ricostruzione immediata), o iniziata 6-12 mesi dopo l’intervento demolitivo (ricostruzione differita).
La ricostruzione differita è consigliata qualora si debba eseguire radioterapia

TECNICHE

Esistono numerose tecniche per la ricostruzione mammaria. Le tecniche chirurgiche più usate nelle pazienti mastectomizzate sono:

  • ricostruzione mediante l’uso di espansori e protesi
  • ricostruzione con lembo miocutaneo di latissimus dorsi ricostruzione mammaria con il muscolo retto dell’addome, TRAM, che può essere peduncolato o libero (microchirurgico)
  • ricostruzione con lembo libero DIEP ricostruzione con lembo libero SIEA
  • ricostruzione con lembo libero S-GAP ricostruzione con lembo libero TUG

La scelta della tecnica chirurgica avviene in base alle caratteristiche fisiche della paziente e all’entità dell’intervento demolitivo eseguito o da eseguire.

L’ultima fase della ricostruzione mammaria prevede la ricostruzione del complesso areola-capezzolo.

Ricostruzione con impianto di espansori e protesi

Questa tecnica ricostruttiva prevede generalmente due distinte fasi chirurgiche.

La prima fase consiste nell’inserimento al di sotto del muscolo grande pettorale di un espansore tissutale (temporaneo o permanente) allo scopo di aumentare il volume dei tessuti soprastanti fino al raggiungimento dell’espansione desiderata.

L’espansore viene solitamente impiantato durante il primo intervento chirurgico al termine della fase demolitiva, e viene parzialmente riempito con soluzione fisiologica in modo da conferire alla regione mammaria un discreto volume già dal risveglio del primo intervento.

Nella seconda fase l’ espansore viene sostituito con una protesi mammaria definitiva. Generalmente, per ottener un buon risultato estetico è sufficiente il solo posizionamento di una protesi mammaria di forma e dimensioni adeguate, ma talvolta può essere necessario un piccolo ritocco della mammella controlaterale al fine di ottenere un risultato di simmetria ottimale.

Questa tecnica chirurgica non è consigliata in pazienti che necessitano di radioterapia per l’alta percentuale di contrattura capsulare che si verifica a seguito di trattamenti radioterapici.

In questi casi è preferibile l’utilizzo di una tecnica chirurgica ricostruttiva con tessuto autologo sia peduncolato che microchirurgico.

espansori

Attualmente esistono in commercio diverse tipologie di espansori e protesi che si differenziano per forma, superficie e contenuto.

Gli espansori tissutali sono impianti temporanei costituiti da un involucro espandibile di silicone che racchiude una camera vuota che viene riempita, tramite una valvola, di soluzione fisiologica.

La superficie degli espansori è generalmente testurizzata. La testurizzazione della superficie ha lo scopo di ridurre la reazione capsulare periprotesica e consente inoltre una più rapida adesione al tessuto circostante, impedendo la sua dislocazione.

La forma è a goccia (o anatomica), sia ad alto che a basso profilo e la scelta fra questi impianti, che modificano la proiezione del seno ricostruito, è rimessa alla sensibilità e all’esperienza del chirurgo, tenuto conto anche delle preferenze della paziente.

Da diversi anni le industrie commercializzano espansori a permanenza (definiti anche protesi ad espansione o protesi di Becker) che vengono lasciati definitivamente in loco al raggiungimento dell’espansione desiderata, al fine di evitare l’intervento di sostituzione con la protesi definitiva.

Tali impianti contengono una doppia camera: la camera esterna contiene gel di silicone inespandibile, mentre la camera interna, gonfiabile con soluzione fisiologica, consente di espandere gradualmente la protesi fino al volume desiderato.

Una volta terminata l’operazione di riempimento, la valvola esterna può essere rimossa e l’espansore viene convertito in protesi definitiva.

Nel caso di espansori temporanei, l’impianto deve essere rimosso dopo circa sei mesi dall’ultimo riempimento al fine di posizionare la protesi definitiva. Tale periodo di attesa è necessario affinché i tessuti non ritornino alle dimensioni originali.

PROTESI

Le protesi possono avere forma rotonda o con profilo anatomico (a goccia). Alcune protesi, inoltre, offrono diversi gradi di proiezione (basso, medio e alto) a seconda del grado di proiezione che la paziente intende ottenere.

Protesi anatomiche  Protesi rotonde

Esternamente, le protesi mammarie possono avere una superficie liscia o rugosa (protesi lisce o testurizzate). Le protesi a superficie liscia hanno un involucro leggermente più morbido e poco percepibile al tatto anche quando vengono posizionate sotto la ghiandola mammaria.

Protesi lisce e testurizzate

Le protesi testurizzate sono invece un po’ più rigide al tatto, ma vengono preferite da molti chirurghi in quanto vanno incontro a minore “rigetto” (contrattura capsulare). Le protesi utilizzate nella chirurgia plastica ed estetica sono costituite da un involucro esterno di silicone e da un contenuto interno che può essere di gel di silicone o di soluzione fisiologica.

Il gel di silicone è un materiale altamente coesivo e uniforme che pur avendo la morbidezza e la consistenza propria del tessuto mammario, agisce come una sostanza solida permettendo di evitare, in caso di rottura accidentale dell’impianto, la migrazione e la dispersione del suo contenuto all’interno della regione mammaria.

LEMBO MIOCUTANEO DI LATISSIMUS DORSI

La ricostruzione mediante lembo di gran dorsale è indicata in pazienti che hanno esiti di radioterapia a livello del torace, o che devono effettuare la ricostruzione del pilastro ascellare anteriore o che non possono sottoporsi a ricostruzione attraverso l’uso del lembo TRAM (pazienti obese, o con un’età maggiore di 65 anni, o che hanno subito un precedente intervento di addominoplastica o una precedente ricostruzione con lembo TRAM, o con pregresse cicatrici addominali).

Il chirurgo plastico può optare per questa tecnica chirurgica nel caso di pazienti che hanno una piccola mammella da ricostruire e che richiedono una ridotta quantità di tessuto per un’adeguata ricostruzione.

In questi casi, benché una ricostruzione tramite lembo TRAM non sia controindicata, il chirurgo può preferire il lembo di gran dorsale, per la semplicità, il minor tempo operatorio e le minori complicanze a livello del sito donatore.

Qualora il lembo di gran dorsale non sia sufficiente a ricostruire la mammella compromessa, il chirurgo può prelevare, oltre al muscolo, anche uno strato di tessuto adiposo (lembo di latissimus dorsi esteso), oppure optare per l’inserimento di una protesi.

LEMBO PEDUNCOLATO MIOCUTANEO DEL RETTO DELL’ADDOME (TRAM)

Il lembo peduncolato miocutaneo del retto dell’addome (TRAM: transvers rectus abdominus myocutaneous flap) è stato uno dei primi metodi di ricostruzione con l’utilizzo di tessuto autologo.

Questo tipo di lembo viene ricavato mediante dissezione di cute, tessuto adiposo sottocutaneo e muscolo retto addominale e viene trasportato attraverso un tunnel sottocutaneo nella regione toracica per ricreare la forma e il volume originari della mammella.

Questa tecnica chirurgica non è indicata per pazienti magre che possiedono una quantità limitata di tessuto addominale da poter trasferire o per pazienti precedentemente sottoposte ad interventi chirurgici in cui sono state sezionate le arterie toraciche interne o i vasi epigastrici superiori o le perforanti arteriose nel lembo. Non è consigliato in caso di pazienti diabetiche, fumatrici ed obese perché, avendo una circolazione compromessa, presentano lembi della parete addominale poco vascolarizzati.

 

 

LEMBO LIBERO DI RETTO DELL’ADDOME (FREE TRAM FLAP)

Questa metodica consiste nel trasferimento di un lembo libero TRAM (che include una piccola porzione di muscolo retto e il peduncolo vascolare costituito dall’arteria epigastrica inferiore profonda), dalla regione addominale alla regione mammaria mediante una rivascolarizzazione microchirurgica. Questa tecnica ha lo svantaggio di comportare la perdita del muscolo retto e un indebolimento della parete addominale con conseguente rischio di ernie addominali.

RICOSTRUZIONE CON LEMBO LIBERO DIEP

La ricostruzione mammaria mediante tecnica DIEP (deep inferior epigastric perforator) rappresenta una delle metodiche più recenti di ricostruzione con tessuto autologo.

Questa tecnica consiste nel prelevare dall’addome la cute, il sottocute, il tessuto adiposo ed i vasi sanguigni, risparmiando il muscolo retto dell’addome, senza quindi determinare un indebolimento della funzione muscolare e contenitiva della parete addominale come invece accade con il lembo TRAM.

Questa tecnica chirurgica non è indicata per pazienti diabetiche, fumatrici o con patologie vascolari a causa delle piccole dimensioni dei vasi utilizzati per nutrire il lembo.

RICOSTRUZIONE MEDIANTE LEMBO SIEA

La ricostruzione mammaria con lembo SIEA (superficial inferior epigastric artery and vein) è simile alla precedente da cui si differenzia per il fatto che l’irrorazione arteriosa ed il deflusso venoso del lembo SIEA avvengono mediante i vasi superficiali dell’arteria epigastrica inferiore sottostanti la superficie cutanea.

RICOSTRUZIONE CON LEMBO S-GAP

La ricostruzione con lembo S-GAP (superior gluteal artery perforator flaps) è una tecnica molto utile per la ricostruzione post-mastectomia, soprattutto nei casi in cui è necessario procedere ad una ricostruzione bilaterale delle mammelle.

Questa metodica consiste nel trasferimento di un lembo prelevato dalla regione glutea superiore e consente di ottenere un peduncolo vascolare molto più lungo rispetto a quello ricavabile con l’inclusione del muscolo nel lembo, permettendo al chirurgo, nella fase microchirurgica, un’anastomosi più agevole ed evitando innesti di vena.

La ricostruzione con lembo S-GAP è indicata nei casi di mancanza di sufficiente tessuto addominale per cause naturali (pazienti magre) o iatrogene (pregressa addominoplastica). Essa tuttavia è scarsamente praticata perché tecnicamente molto complessa.

RICOSTRUZIONE CON LEMBO TUG

Il lembo TUG (transverse upper gracilis) è un lembo libero muscolocutaneo ricavato dal muscolo gracile della coscia. Il peduncolo vascolare di questo lembo è costituito dal ramo ascendente dell’arteria femorale profonda e dalla vena corrispondente.

La ricostruzione con lembo TUG è indicata per pazienti che hanno avuto in precedenza un intervento di addominoplastica o che, essendo state sottoposte ad altre procedure interessanti la parete addominale, si vedano preclusa la possibilità di utilizzo di questi tessuti per la creazione di lembi TRAM da trasportare nella sede della mastectomia.

Essa è inoltre indicata per pazienti molto magre o sportive che non presentano abbastanza grasso sottocutaneo addominale per essere candidate ad un SIEA o un DIEP.

Infine, questa tecnica è spesso preferita dalle pazienti che rifiutino cicatrici a livello addominale, della schiena o dei glutei o che vogliano, contestualmente all’intervento di ricostruzione mammaria, eseguire anche un lifting delle cosce. Questa metodica non è invece consigliata nelle ricostruzioni di mammelle larghe e cadenti, a causa delle piccole dimensioni del lembo utilizzabile.

Il lipofilling è una metodica chirurgica che consiste nel prelievo del tessuto adiposo da determinate aree corporee in cui è naturalmente presente come addome, fianchi, cosce, e il suo trasferimento, dopo adeguato trattamento, in altre regioni del corpo dove risulti necessario, Il tessuto adiposo (grasso) viene aspirato dove è in eccesso mediante piccole cannule collegate a siringhe e reiniettato nell’area che deve essere trattata.

Poiché negli innesti non viene conservata alcuna connessione vascolare con il sito donatore, il tessuto trasferito può sopravvivere soltanto se si trova a diretto contatto con altri tessuti ben vascolarizzati dai quali trarrà nutrimento per imbibizione o formando nuove connessioni vascolari.

La tecnica del lipofilling è quindi indicata per piccole correzioni da attuarsi mediante infiltrazione di piccole quantità di grasso in tessuti ben vascolarizzati, e non per innesti di grandi quantità in quanto in questi ultimi casi si rischia che le cellule adipose iniettate non vengano a contatto con i tessuti vascolarizzati e vadano incontro a necrosi ed infezioni.

Nel corpo trova indicazione per correggere deficit di volume, modellare superfici, migliorare alcune proiezioni.  È particolarmente  indicato per ridefinire la regione glutea, per correggere eventuali asimmetrie o un’eccessiva magrezza delle gambe, per  il ringiovanimento delle mani o della regione genitale sia maschile che femminile.

A livello della mammella trova ampia applicazione sia nelle chirurgia estetica sia nella ricostruttiva dopo tumore al seno.  Il questo ambito il lipofilling è utilizzato per l’integrazione e il complemento della ricostruzione mammaria con protesi; l’integrazione della ricostruzione mammaria  con tessuti autologhi; la riduzione della contrattura capsulare; il trattamento dei danni tissutali provocati da radioterapia; l’integrazione di volumi mancanti in esiti di quadrantectomie e la correzione di asimmetrie mammarie

A livello del volto il lipofilling permette di attenuare i solchi e le rughe, correggendone e rimodellandone i volumi.

 LIPOFILLING DEL VISO

L’invecchiamento determina  una naturale alterazione dei tessuti del volto e del collo dovuta a dislocazione ed assottigliamento delle masse muscolari, ad atrofia del tessuto adiposo e a ridotta elasticità della pelle.  Conseguenze di questi cambiamenti sono la comparsa di rughe più o meno evidenti nella zona perioculare con associate palpebre incavate, approfondimento dei solchi naso genieni, depressioni nella zona delle guance, diminuzione della definizione dei contorni del viso.

Il lipofilling permette di attenuare tali inestetismi riempiendo i solchi e le rughe, correggendone e rimodellandone i volumi.

 

La scelta del tipo di anestesia sarà in funzione della durata della procedura e potrà essere  locale con sedazione (ciò significa che il paziente sarà  sveglio e rilassato ma insensibile al dolore) o  generale.

La metodica utilizzata è il lipofilling secondo la tecnica messa a punto da Coleman.
In questo tipo di lipofilling si utilizza un piccolo ago collegato a una siringa, mediante la quale il grasso viene estratto dal sito donatore dove il tessuto adiposo è più compatto: addome, fianchi o coscia. Una volta aspirato, il grasso viene trattato per rimuovere l’eccesso di fluidi e caricato in siringhe da 1 cc e poi con aghi sottilissimi iniettato,

Il prodotto dell’aspirazione viene quindi opportunamente filtrato in modo tale da separare le cellule adipose vitali ed integre da quelle danneggiate e dai loro sottoprodotti.

Le cellule ottenute sono innestate nella sede ricevente facendo attenzione  a porre tutte le cellule adipose infiltrate in piccole quantità  e a diretto contatto con tessuti ben vascolarizzati mediante la formazione di molteplici piccolissimi canali.

La durata di un intervento di lipofilling di solito è compresa fra i trenta minuti e le due ore, in funzione dell’estensione e del numero delle zone da trattare.

La procedura chirurgica  termina con un bendaggio elasto – compressivo per ridurre eventuali ematomi o edemi nell’immediato post operatorio.

DECORSO POST OPERATORIO LIPOFILLING

Nel post operatorio è previsto l’utilizzo di una guaina compressiva per  ridurre eventuali ecchimosi o gonfiori, che viene mantenuta generalmente per tre settimane dopo l’intervento.

Grazie alla ricchezza in cellule staminali propria del tessuto adiposo, il lipofilling determina un miglioramento estetico globale della regione trattata.

Il risultato di un intervento di lipofilling del corpo è generalmente molto soddisfacente,  duraturo e, dopo parziale riassorbimento variabile da individuo ad individuo, permanente. Proprio il parziale riassorbimento, costituisce l’unico limite di questo intervento che rimane tuttavia il solo valido per determinate aree del corpo in cui soluzioni alternative sono praticamente assenti.